MESSAGGIO
DI SUA SANTITA' GIOVANNI PAOLO II PER LA QUARESIMA 2002
« Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt
10, 8)
Carissimi Fratelli e Sorelle,
1. Ci accingiamo a
ripercorrere il cammino quaresimale, che ci condurrà alle solenni
celebrazioni del mistero centrale della fede, il mistero della passione,
morte e risurrezione di Cristo. Ci apprestiamo a vivere il tempo
propizio che la Chiesa offre ai credenti per meditare sull'opera della
salvezza realizzata dal Signore sulla Croce. Il disegno salvifico del
Padre celeste si è compiuto nel libero e totale dono del Figlio
unigenito agli uomini. « Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me
stesso » (Gv 10, 18), afferma Gesù, ponendo ben in luce che
Egli sacrifica la sua stessa vita, volontariamente, per la salvezza del
mondo. A conferma di un così grande dono di amore, il Redentore
aggiunge: « Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per
i propri amici » (Gv 15, 13).
La Quaresima, occasione provvidenziale di conversione, ci aiuta a
contemplare questo stupendo mistero d'amore. Essa costituisce un ritorno
alle radici della fede, perché, meditando sul dono di grazia
incommensurabile che è la Redenzione, non possiamo non renderci conto
che tutto ci è stato dato per amorevole iniziativa divina. Proprio per
meditare su questo aspetto del mistero salvifico, ho scelto quale tema
del Messaggio quaresimale di quest'anno le parole del Signore: « Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10, 8).
2. Iddio ci ha liberamente donato il suo Figlio: chi ha potuto o può
meritare un simile privilegio? Afferma san Paolo: « Tutti hanno peccato
e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per
la sua grazia » (Rm 3, 23-24). Iddio ci ha amati con infinita
misericordia senza lasciarsi fermare dalla condizione di grave rottura
in cui il peccato aveva posto la persona umana. Si è benevolmente
chinato sulla nostra infermità, prendendone occasione per una nuova e
più meravigliosa effusione del suo amore. La Chiesa non cessa di
proclamare questo mistero di infinita bontà, esaltando la libera scelta
divina e il suo desiderio non di condannare, ma di riammettere l'uomo
alla comunione con Sé.
« Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date ». Queste
parole evangeliche risuonino nel cuore di ogni comunità cristiana nel
pellegrinaggio penitenziale verso la Pasqua. La Quaresima, richiamando
allo spirito il mistero della morte e risurrezione del Signore, porti
ogni cristiano a stupirsi intimamente della grandezza di tale dono. Sì!
Gratuitamente abbiamo ricevuto. La nostra esistenza non è forse tutta
segnata dalla benevolenza di Dio? È dono lo sbocciare della vita e il
suo prodigioso svilupparsi. E proprio perché è dono, l'esistenza non
può essere considerata un possesso o una privata proprietà, anche se
le potenzialità, di cui oggi disponiamo per migliorarne la qualità,
potrebbero far pensare che l'uomo sia di essa « padrone ». In effetti,
le conquiste della medicina e della biotecnologia a volte potrebbero
indurre l'uomo a pensarsi creatore di se stesso, e a cedere alla
tentazione di manipolare « l'albero della vita » (Gn 3, 24).
È bene anche qui ribadire che non tutto ciò che è tecnicamente
possibile è anche moralmente lecito. Se ammirevole è lo sforzo della
scienza per assicurare una qualità di vita più conforme alla dignità
dell'uomo, non deve però essere mai dimenticato che la vita umana è un
dono, e che essa rimane un valore anche quando è segnata dalla
sofferenza e dal limite. Un dono da accogliere e amare sempre:
gratuitamente ricevuto e gratuitamente da porre al servizio degli altri.
3. La Quaresima, riproponendoci l'esempio di Cristo immolatosi per noi
sul Calvario, ci aiuta in modo singolare a capire che la vita è in Lui
redenta. Per mezzo dello Spirito Santo, Egli rinnova la nostra vita e ci
rende partecipi di quella stessa vita divina che ci introduce
nell'intimità di Dio e ci fa sperimentare il suo amore per noi. Si
tratta di un dono sublime, che il cristiano non può non proclamare con
gioia. San Giovanni scrive nel suo Vangelo: « Questa è la vita
eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù
Cristo » (Gv 17, 3). Questa vita, a noi comunicata mediante
il Battesimo, dobbiamo continuamente alimentare con una fedele risposta
individuale e comunitaria, mediante la preghiera, la celebrazione dei
Sacramenti e la testimonianza evangelica.
Avendo, infatti, gratuitamente ricevuto la vita, dobbiamo, a nostra
volta, donarla ai fratelli in modo gratuito. Lo chiede Gesù ai
discepoli, inviandoli come suoi testimoni nel mondo: « Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date ». E primo dono da rendere è
quello d'una vita santa, testimone dell'amore gratuito di Dio.
L'itinerario quaresimale sia per tutti i credenti un costante richiamo
ad approfondire questa nostra peculiare vocazione. Dobbiamo aprirci,
come credenti, a un'esistenza improntata a « gratuità », dedicando
senza riserve noi stessi a Dio e al prossimo.
4. « Che cosa mai possiedi — ammonisce san Paolo — che tu
non abbia ricevuto? » (1 Cor 4, 7). Amare i fratelli,
dedicarsi a loro è un'esigenza che scaturisce da questa consapevolezza.
Più essi hanno bisogno, più urgente diventa per il credente il compito
di servirli. Dio non permette forse che ci siano condizioni di bisogno,
perché andando incontro agli altri impariamo a liberarci dal nostro
egoismo e a vivere dell'autentico amore evangelico? Chiaro è il comando
di Gesù: « Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non
fanno così anche i pubblicani? » (Mt 5, 46). Il mondo valuta i
rapporti con gli altri sulla base dell'interesse e del proprio
tornaconto, alimentando una visione egocentrica dell'esistenza, nella
quale troppo spesso non c'è posto per i poveri e i deboli. Ogni
persona, anche la meno dotata, va invece accolta e amata per se stessa,
al di là dei suoi pregi e difetti. Anzi, più è in difficoltà, più
deve essere oggetto del nostro amore concreto. È quest'amore che la
Chiesa, attraverso innumerevoli istituzioni, testimonia facendosi carico
di ammalati, emarginati, poveri e sfruttati. I cristiani, in tal modo,
diventano apostoli di speranza e costruttori della civiltà dell'amore.
Assai significativo è che Gesù pronunci le parole: « Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date », proprio nell'inviare gli
apostoli a diffondere il Vangelo della salvezza, primo e principale dono
da Lui recato all'umanità. Egli vuole che il suo Regno ormai vicino (cf
Mt 10, 5ss) si propaghi attraverso gesti di amore gratuito da
parte dei suoi discepoli. Così fecero gli apostoli agli inizi del
cristianesimo, e quanti li incontravano li riconoscevano portatori di un
messaggio più grande di loro stessi. Come allora, anche oggi il bene
compiuto dai credenti diventa un segno e spesso un invito a credere.
Anche quando, come nel caso del buon samaritano, il cristiano va
incontro alle necessità del prossimo, il suo non è mai un semplice
aiuto materiale. È sempre anche annuncio del Regno, che comunica il
senso pieno della vita, della speranza, dell'amore.
5. Fratelli e Sorelle carissimi! Sia questo lo stile con cui ci
apprestiamo a vivere la Quaresima: la generosità fattiva verso i
fratelli più poveri! Aprendo loro il cuore, diventiamo sempre più
consapevoli che il nostro dono agli altri è risposta ai numerosi doni
che il Signore continua a farci. Gratuitamente abbiamo ricevuto,
gratuitamente diamo!
Quale periodo più opportuno del periodo della Quaresima per rendere
questa testimonianza di gratuità di cui il mondo ha tanto bisogno?
Nell'amore stesso che Dio ha per noi c'è la chiamata a donarci, a
nostra volta, agli altri gratuitamente. Ringrazio quanti — laici,
religiosi, sacerdoti — in ogni angolo del mondo rendono questa
testimonianza di carità. Sia così per ogni cristiano, nelle diverse
situazioni in cui egli si trova.
Maria, la Vergine e Madre del bell'Amore e della Speranza, sia guida e
sostegno in questo itinerario quaresimale. A tutti con affetto assicuro
la mia preghiera, mentre volentieri imparto a ciascuno, specialmente a
quanti operano quotidianamente sulle molteplici frontiere della carità,
una speciale Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 4 Ottobre 2001, festa di San Francesco d'Assisi.
JOANNES PAULUS II
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MESSAGGIO
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II PER LA CELEBRAZIONE DELLA
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2002
NON C' È PACE SENZA
GIUSTIZIA
NON C' È GIUSTIZIA SENZA PERDONO
1. Quest'anno la Giornata Mondiale della Pace viene celebrata sullo
sfondo dei drammatici eventi dell'11 settembre scorso. In quel
giorno, fu perpetrato un crimine di terribile gravità: nel giro di pochi
minuti migliaia di persone innocenti, di varie provenienze etniche, furono
orrendamente massacrate. Da allora, la gente in tutto il mondo ha
sperimentato con intensità nuova la consapevolezza della vulnerabilità
personale ed ha cominciato a guardare al futuro con un senso fino ad
allora ignoto di intima paura. Di fronte a questi stati d'animo la Chiesa
desidera testimoniare la sua speranza, basata sulla convinzione che il
male, il mysterium iniquitatis, non ha l'ultima parola nelle
vicende umane. La storia della salvezza, delineata nella Sacra Scrittura,
proietta grande luce sull'intera storia del mondo, mostrando come questa
sia sempre accompagnata dalla sollecitudine misericordiosa e provvida di
Dio, che conosce le vie per toccare gli stessi cuori più induriti e
trarre frutti buoni anche da un terreno arido e infecondo.
È questa la speranza che sostiene la Chiesa all'inizio del 2002: con la
grazia di Dio il mondo, in cui il potere del male sembra ancora una volta
avere la meglio, sarà realmente trasformato in un mondo in cui le
aspirazioni più nobili del cuore umano potranno essere soddisfatte, un
mondo nel quale prevarrà la vera pace.
La pace: opera di giustizia e di amore
2. Quanto è
recentemente avvenuto, con i terribili fatti di sangue appena ricordati,
mi ha stimolato a riprendere una riflessione che spesso sgorga dal
profondo del mio cuore, al ricordo di eventi storici che hanno segnato la
mia vita, specialmente negli anni della mia giovinezza.
Le immani sofferenze dei popoli e dei singoli, tra i quali anche non pochi
miei amici e conoscenti, causate dai totalitarismi nazista e comunista,
hanno sempre interpellato il mio animo e stimolato la mia preghiera. Molte
volte mi sono soffermato a riflettere sulla domanda: qual è la via che
porta al pieno ristabilimento dell'ordine morale e sociale così
barbaramente violato? La convinzione, a cui sono giunto ragionando e
confrontandomi con la Rivelazione biblica, è che non si ristabilisce
appieno l'ordine infranto, se non coniugando fra loro giustizia e perdono.
I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma
dell'amore che è il perdono.
3. Ma come parlare, nelle circostanze attuali, di giustizia e insieme di
perdono quali fonti e condizioni della pace? La mia risposta è che si
può e si deve parlarne, nonostante la difficoltà che questo discorso
comporta, anche perché si tende a pensare alla giustizia e al perdono in
termini alternativi. Ma il perdono si oppone al rancore e alla vendetta,
non alla giustizia. La vera pace, in realtà, è « opera della giustizia
» (Is 32, 17). Come ha affermato il Concilio Vaticano II, la pace
è « il frutto dell'ordine immesso nella società umana dal suo Fondatore
e che deve essere attuato dagli uomini assetati di una giustizia sempre più
perfetta » (Costituzione pastorale Gaudium
et spes, 78). Da oltre quindici secoli, nella Chiesa cattolica
risuona l'insegnamento di Agostino di Ippona, il quale ci ha ricordato che
la pace, a cui mirare con l'apporto di tutti, consiste nella tranquillitas
ordinis, nella tranquillità dell'ordine (cfr De civitate Dei,
19, 13).
La vera pace, pertanto, è frutto della giustizia, virtù morale e
garanzia legale che vigila sul pieno rispetto di diritti e doveri e
sull'equa distribuzione di benefici e oneri. Ma poiché la giustizia umana
è sempre fragile e imperfetta, esposta com'è ai limiti e agli egoismi
personali e di gruppo, essa va esercitata e in certo senso completata con
il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i
rapporti umani turbati. Ciò vale tanto nelle tensioni che coinvolgono
i singoli quanto in quelle di portata più generale ed anche
internazionale. Il perdono non si contrappone in alcun modo alla
giustizia, perché non consiste nel soprassedere alle legittime esigenze
di riparazione dell'ordine leso. Il perdono mira piuttosto a quella
pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità dell'ordine, la quale
è ben più che una fragile e temporanea cessazione delle ostilità, ma è
risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per un
tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali.
Sono queste le due dimensioni della pace che desidero esplorare in questo
messaggio. La Giornata Mondiale offre, quest'anno, a tutta l'umanità, e
in particolar modo ai Capi delle Nazioni, l'opportunità di riflettere
sulle esigenze della giustizia e sulla chiamata al perdono di fronte ai
gravi problemi che continuano ad affliggere il mondo, non ultimo dei quali
è il nuovo livello di violenza introdotto dal terrorismo organizzato.
Il fenomeno del
terrorismo
4. È proprio la pace
fondata sulla giustizia e sul perdono che oggi è attaccata dal terrorismo
internazionale. In questi ultimi anni, specialmente dopo la fine della
guerra fredda, il terrorismo si è trasformato in una rete sofisticata di
connivenze politiche, tecniche ed economiche, che travalica i confini
nazionali e si allarga fino ad avvolgere il mondo intero. Si tratta di
vere organizzazioni dotate spesso di ingenti risorse finanziarie, che
elaborano strategie su vasta scala, colpendo persone innocenti, per nulla
coinvolte nelle prospettive che i terroristi perseguono.
Adoperando i loro stessi seguaci come armi da lanciare contro inermi
persone inconsapevoli, queste organizzazioni terroristiche manifestano in
modo sconvolgente l'istinto di morte che le alimenta. Il terrorismo
nasce dall'odio ed ingenera isolamento, diffidenza e chiusura. Violenza si
aggiunge a violenza, in una tragica spirale che coinvolge anche le nuove
generazioni, le quali ereditano così l'odio che ha diviso quelle
precedenti. Il terrorismo si fonda sul disprezzo della vita dell'uomo. Proprio
per questo esso non dà solo origine a crimini intollerabili, ma
costituisce esso stesso, in quanto ricorso al terrore come strategia
politica ed economica, un vero crimine contro l'umanità.
5. Esiste perciò un diritto a difendersi dal terrorismo. E un
diritto che deve, come ogni altro, rispondere a regole morali e giuridiche
nella scelta sia degli obiettivi che dei mezzi. L'identificazione dei
colpevoli va debitamente provata, perché la responsabilità penale è
sempre personale e quindi non può essere estesa alle nazioni, alle etnie,
alle religioni, alle quali appartengono i terroristi. La collaborazione
internazionale nella lotta contro l'attività terroristica deve comportare
anche un particolare impegno sul piano politico, diplomatico ed economico
per risolvere con coraggio e determinazione le eventuali situazioni di
oppressione e di emarginazione che fossero all'origine dei disegni
terroristici. Il reclutamento dei terroristi, infatti, è più facile nei
contesti sociali in cui i diritti vengono conculcati e le ingiustizie
troppo a lungo tollerate.
Occorre, tuttavia, affermare con chiarezza che le ingiustizie esistenti
nel mondo non possono mai essere usate come scusa per giustificare gli
attentati terroristici. Si deve rilevare, inoltre, che tra le vittime del
crollo radicale dell'ordine, ricercato dai terroristi, sono da includere
in primo luogo i milioni di uomini e di donne meno attrezzati per
resistere al collasso della solidarietà internazionale. Alludo
specificamente ai popoli del mondo in via di sviluppo, i quali già vivono
in margini ristretti di sopravvivenza e che sarebbero i più dolorosamente
colpiti dal caos globale economico e politico. La pretesa del terrorismo
di agire in nome dei poveri è una palese falsità.
Non si uccide in nome di Dio!
6. Chi uccide con
atti terroristici coltiva sentimenti di disprezzo verso l'umanità,
manifestando disperazione nei confronti della vita e del futuro: tutto, in
questa prospettiva, può essere odiato e distrutto. Il terrorista ritiene
che la verità in cui crede o la sofferenza patita siano talmente assolute
da legittimarlo a reagire distruggendo anche vite umane innocenti. Talora
il terrorismo è figlio di un fondamentalismo fanatico, che nasce
dalla convinzione di poter imporre a tutti l'accettazione della propria
visione della verità. La verità, invece, anche quando la si è raggiunta
— e ciò avviene sempre in modo limitato e perfettibile — non può mai
essere imposta. Il rispetto della coscienza altrui, nella quale si
riflette l'immagine stessa di Dio (cfr Gn 1, 26-27), consente solo
di proporre la verità all'altro, al quale spetta poi di responsabilmente
accoglierla. Pretendere di imporre ad altri con la violenza quella che si
ritiene essere la verità, significa violare la dignità dell'essere umano
e, in definitiva, fare oltraggio a Dio, di cui egli è immagine. Per
questo il fanatismo fondamentalista è un atteggiamento radicalmente
contrario alla fede in Dio. A ben guardare il terrorismo strumentalizza
non solo l'uomo, ma anche Dio, finendo per farne un idolo di cui si
serve per i propri scopi.
7. Nessun responsabile delle religioni, pertanto, può avere indulgenza
verso il terrorismo e, ancor meno, lo può predicare. È profanazione
della religione proclamarsi terroristi in nome di Dio, far violenza
all'uomo in nome di Dio. La violenza terrorista è contraria alla fede in
Dio Creatore dell'uomo, in Dio che si prende cura dell'uomo e lo ama. In
particolare, essa è totalmente contraria alla fede in Cristo Signore, che
ha insegnato ai suoi discepoli a pregare: « Rimetti a noi i nostri
debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori » (Mt 6,
12).
Seguendo l'insegnamento e l'esempio di Gesù, i cristiani sono convinti
che dimostrare misericordia significhi vivere pienamente la verità della
nostra vita: possiamo e dobbiamo essere misericordiosi, perché ci è
stata mostrata misericordia da un Dio che è Amore misericordioso (cfr 1
Gv 4, 7-12). Il Dio che ci redime mediante il suo ingresso nella
storia e attraverso il dramma del Venerdì Santo prepara la vittoria del
giorno di Pasqua, è un Dio di misericordia e di perdono (cfr Sal 103
[102], 3-4.10-13). Gesù, nei confronti di quanti lo contestavano per il
fatto che mangiava con i peccatori, così si è espresso: « Andate dunque
e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio.
Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Mt 9,
13). I seguaci di Cristo, battezzati nella sua morte e nella sua
risurrezione, devono essere sempre uomini e donne di misericordia e di
perdono.
La necessità del perdono
8. Ma che cosa
significa, in concreto, perdonare? E perché perdonare? Un discorso
sul perdono non può eludere questi interrogativi. Riprendendo una
riflessione che ebbi già modo di offrire per la Giornata Mondiale della
Pace 1997 (« Offri il perdono, ricevi la pace »), desidero ricordare che
il perdono ha la sua sede nel cuore di ciascuno, prima di essere un fatto
sociale. Solo nella misura in cui si affermano un'etica e una cultura del
perdono, si può anche sperare in una « politica del perdono », espressa
in atteggiamenti sociali ed istituti giuridici, nei quali la stessa
giustizia assuma un volto più umano.
In realtà, il perdono è innanzitutto una scelta personale, una opzione
del cuore che va contro l'istinto spontaneo di ripagare il male col male.
Tale opzione ha il suo termine di confronto nell'amore di Dio, che ci
accoglie nonostante il nostro peccato, e ha il suo modello supremo nel
perdono di Cristo che sulla croce ha pregato: « Padre, perdona loro,
perché non sanno quello che fanno » (Lc 23, 34).
Il perdono ha dunque una radice e una misura divine. Questo tuttavia non
esclude che se ne possa cogliere il valore anche alla luce di
considerazioni di umana ragionevolezza. Prima fra tutte, quella relativa
all'esperienza che l'essere umano vive in se stesso quando commette il
male. Egli si rende allora conto della sua fragilità e desidera che gli
altri siano indulgenti con lui. Perché dunque non fare agli altri ciò
che ciascuno desidera sia fatto a se stesso? Ogni essere umano coltiva in
sé la speranza di poter ricominciare un percorso di vita e di non
rimanere prigioniero per sempre dei propri errori e delle proprie colpe.
Sogna di poter tornare a sollevare lo sguardo verso il futuro, per
scoprire ancora una prospettiva di fiducia e di impegno.
9. In quanto atto umano, il
perdono è innanzitutto un'iniziativa del singolo soggetto nel suo
rapporto con gli altri suoi simili. La persona, tuttavia, ha un'essenziale
dimensione sociale, in virtù della quale intreccia una rete di rapporti
in cui esprime se stessa: non solo nel bene, purtroppo, ma anche nel male.
Conseguenza di ciò è che il perdono si rende necessario anche a
livello sociale. Le famiglie, i gruppi, gli Stati, la stessa Comunità
internazionale, hanno bisogno di aprirsi al perdono per ritessere legami
interrotti, per superare situazioni di sterile condanna mutua, per vincere
la tentazione di escludere gli altri non concedendo loro possibilità di
appello. La capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una
società futura più giusta e solidale.
Il perdono mancato, al contrario, specialmente quando alimenta la
continuazione di conflitti, ha costi enormi per lo sviluppo dei popoli. Le
risorse vengono impiegate per sostenere la corsa agli armamenti, le spese
delle guerre, le conseguenze delle ritorsioni economiche. Vengono così a
mancare le disponibilità finanziarie necessarie per produrre sviluppo,
pace, giustizia. Quanti dolori soffre l'umanità per non sapersi
riconciliare, quali ritardi subisce per non saper perdonare! La pace è
la condizione dello sviluppo, ma una vera pace è resa possibile soltanto
dal perdono.
Il perdono, strada maestra
10. La proposta del
perdono non è di immediata comprensione né di facile accettazione; è un
messaggio per certi versi paradossale. Il perdono infatti comporta sempre
un'apparente perdita a breve termine, mentre assicura un guadagno reale
a lungo termine. La violenza è l'esatto opposto: opta per un guadagno
a scadenza ravvicinata, ma prepara a distanza una perdita reale e
permanente. Il perdono potrebbe sembrare una debolezza; in realtà, sia
per essere concesso che per essere accettato, suppone una grande forza
spirituale e un coraggio morale a tutta prova. Lungi dallo sminuire la
persona, il perdono la conduce ad una umanità più piena e più ricca,
capace di riflettere in sé un raggio dello splendore del Creatore.
Il ministero che svolgo al servizio del Vangelo mi fa sentire vivamente il
dovere, e mi dà al tempo stesso la forza, di insistere sulla necessità
del perdono. Lo faccio anche oggi, sorretto dalla speranza di poter
suscitare riflessioni serene e mature in vista di un generale
rinnovamento, nei cuori delle persone e nelle relazioni tra i popoli della
terra.
11. Meditando sul tema del
perdono, non si possono non ricordare alcune tragiche situazioni di
conflitto, che da troppo tempo alimentano odi profondi e laceranti, con la
conseguente spirale inarrestabile di tragedie personali e collettive. Mi
riferisco, in particolare, a quanto avviene nella Terra Santa, luogo
benedetto e sacro dell'incontro di Dio con gli uomini, luogo della vita,
morte e risurrezione di Gesù, il Principe della pace.
La delicata situazione internazionale sollecita a sottolineare con forza
rinnovata l'urgenza della risoluzione del conflitto arabo-israeliano, che
dura ormai da più di cinquant'anni, con un'alternanza di fasi più o meno
acute. Il continuo ricorso ad atti terroristici o di guerra, che aggravano
per tutti la situazione e incupiscono le prospettive, deve lasciare
finalmente il posto ad un negoziato risolutore. I diritti e le esigenze di
ciascuno potranno essere tenuti in debito conto e contemperati in modo
equo, se e quando prevarrà in tutti la volontà di giustizia e di
riconciliazione. A quegli amati popoli rivolgo nuovamente l'invito
accorato ad adoperarsi per un'era nuova di rispetto mutuo e di accordo
costruttivo.
Comprensione e cooperazione interreligiosa
12. In questo grande
sforzo, i leader religiosi hanno una loro specifica responsabilità. Le
confessioni cristiane e le grandi religioni dell'umanità devono
collaborare tra loro per eliminare le cause sociali e culturali del
terrorismo, insegnando la grandezza e la dignità della persona e
diffondendo una maggiore consapevolezza dell'unità del genere umano.
Si tratta di un preciso campo del dialogo e della collaborazione ecumenica
ed interreligiosa, per un urgente servizio delle religioni alla pace tra i
popoli.
In particolare, sono convinto che i leader religiosi ebrei, cristiani e
musulmani debbano prendere l'iniziativa mediante la condanna pubblica del
terrorismo, rifiutando a chi se ne rende partecipe ogni forma di
legittimazione religiosa o morale.
13. Nel dare comune testimonianza alla verità morale secondo cui
l'assassinio deliberato dell'innocente è sempre un grave peccato,
dappertutto e senza eccezioni, i leader religiosi del mondo favoriranno la
formazione di una pubblica opinione moralmente corretta. E questo il
presupposto necessario per l'edificazione di una società internazionale
capace di perseguire la tranquillità dell'ordine nella giustizia e nella
libertà.
Un impegno di questo tipo da parte delle religioni non potrà non
introdursi sulla via del perdono, che porta alla comprensione
reciproca, al rispetto e alla fiducia. Il servizio che le religioni
possono dare per la pace e contro il terrorismo consiste proprio nella
pedagogia del perdono, perché l'uomo che perdona o chiede perdono
capisce che c'è una Verità più grande di lui, accogliendo la quale egli
può trascendere se stesso.
Preghiera per la pace
14. Proprio per
questa ragione, la preghiera per la pace non è un elemento che « viene
dopo » l'impegno per la pace. Al contrario, essa sta al cuore dello
sforzo per l'edificazione di una pace nell'ordine, nella giustizia e nella
libertà. Pregare per la pace significa aprire il cuore umano
all'irruzione della potenza rinnovatrice di Dio. Dio, con la forza
vivificante della sua grazia, può creare aperture per la pace là dove
sembra che vi siano soltanto ostacoli e chiusure; può rafforzare e
allargare la solidarietà della famiglia umana, nonostante lunghe storie
di divisioni e di lotte. Pregare per la pace significa pregare per la
giustizia, per un adeguato ordinamento all'interno delle Nazioni e nelle
relazioni fra di loro. Vuol dire anche pregare per la libertà,
specialmente per la libertà religiosa, che è un diritto fondamentale
umano e civile di ogni individuo. Pregare per la pace significa pregare
per ottenere il perdono di Dio e per crescere al tempo stesso nel coraggio
che è necessario a chi vuole a propria volta perdonare le offese subite.
Per tutti questi motivi ho invitato i rappresentanti delle religioni del
mondo a venire ad Assisi, la città di san Francesco, il prossimo 24
gennaio, a pregare per la pace. Vogliamo con ciò mostrare che il genuino
sentimento religioso è una sorgente inesauribile di mutuo rispetto e di
armonia tra i popoli: in esso, anzi, risiede il principale antidoto contro
la violenza ed i conflitti. In questo tempo di grave preoccupazione,
l'umana famiglia ha bisogno di sentirsi ricordare le sicure ragioni della
nostra speranza. Proprio questo noi intendiamo proclamare ad Assisi, pregando
Dio Onnipotente — secondo la suggestiva espressione attribuita allo
stesso san Francesco — di fare di noi uno strumento della sua pace.
15. Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono:
ecco ciò che voglio annunciare in questo Messaggio a credenti e non
credenti, agli uomini e alle donne di buona volontà, che hanno a cuore il
bene della famiglia umana e il suo futuro.
Non c'è
pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono:
questo voglio ricordare a quanti detengono le sorti delle comunità umane,
affinché si lascino sempre guidare, nelle loro scelte gravi e difficili,
dalla luce del vero bene dell'uomo, nella prospettiva del bene comune.
Non c'è
pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono:
questo monito non mi stancherò di ripetere a quanti, per una ragione o
per l'altra, coltivano dentro di sé odio, desiderio di vendetta, bramosia
di distruzione.
In questa
Giornata della Pace, salga dal cuore di ogni credente più intensa la
preghiera per ciascuna delle vittime del terrorismo, per le loro famiglie
tragicamente colpite, e per tutti i popoli che il terrorismo e la guerra
continuano a ferire e a sconvolgere. Non restino fuori del raggio di luce
della nostra preghiera coloro stessi che offendono gravemente Dio e l'uomo
mediante questi atti senza pietà: sia loro concesso di rientrare in se
stessi e di rendersi conto del male che compiono, così che siano spinti
ad abbandonare ogni proposito di violenza e a cercare il perdono. In
questi tempi burrascosi, possa l'umana famiglia trovare pace vera e
duratura, quella pace che solo può nascere dall'incontro della giustizia
con la misericordia!
Dal Vaticano,
8 dicembre 2001
GIOVANNI PAOLO
II
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